
Alcuni studi hanno esplorato in che modo certi stati emotivi apparentemente desiderabili sembrerebbero venir evitati in certe condizioni come l’ansia e la depressione come se la mente sembrasse aver paura della felicità, temendo di perdere il controllo o di non meritare serenità e tranquillità.
Ma cos’è la felicità?
Esistono emozioni per definizione “positive”?
Quello che fa la differenza è in realtà il modo di gestire la nostra vita emozionale; molti disagi psicologici possono essere ricondotti ad una disregolazione degli affetti che ci rende difficile sia gestire i momenti di difficoltà, che godere di quelli di felicità e benessere.
La paura delle emozioni positive sembra giocare un ruolo di rilievo nel mantenimento del malessere psicologico e ostacola in modo attivo il buon esito degli interventi medici e psicoterapeutici.
Il timore di provare emozioni negative e dolorose (ansia, tristezza, colpa) può essere chiaro, comprensibile e seppur in diversa misura, identificabile nella vita quotidiana di ciascuno di noi.
Meno immediato agli occhi dei più è il timore delle emozioni positive che tuttavia sembra giocare un ruolo di rilievo nel mantenimento del malessere psicologico e ostacola in modo attivo il buon esito degli interventi medici e psicoterapeutici.
Molte persone temono proprio quelle emozioni piacevoli (eccitazione, felicità, tranquillità) che sentono mancare nella propria vita quotidiana e in modo più o meno consapevole mettono in atto comportamenti per evitarle (Williams, Chamblers & Ahrens, 1997).
Ma qual è il senso di questo timore?
Quale il suo nucleo?
Le felicità che spaventano
- L’estasi sessuale
- La corrispondenza sentimentale
- Una grande e improvvisa vincita di denaro
- Avere tutto quello che si è sempre desiderato
- Il raggiungimento di un traguardo agognato
- Un eclatante successo pubblico
Solitamente la base non ha una natura biologica o inconscia ma cognitiva, la differenza si realizza in base a come interpretiamo le emozioni positive e a come vi reagiamo.
Le regole che governano queste interpretazioni possono essere diverse.
Innanzitutto alcuni individui si spaventano perché temono che l’eccitazione li porti a perdere il controllo e quindi quando l’entusiasmo sale tendono a frenarsi e a imporsi un forte e rigido autocontrollo (se mi eccito troppo perdo il controllo delle mie azioni, impazzisco, non capisco più nulla).
Secondariamente, uno stato di serenità e tranquillità (per esempio nel rapporto affettivo con un compagno/a) può essere interpretato come una condizione di vulnerabilità che richiede l’attivazione di preoccupazioni e paranoie tese a prevenire pericoli e minacce (se sono tranquillo posso essere impreparato quando qualcosa di negativo accadrà, perché sicuramente accadrà, per cui mi devo tenere all’erta e preoccuparmi delle cose negative che potrebbero accadere).
Infine anche la soddisfazione e la felicità possono essere temute e interpretate come una prova di ingenuità, superficialità, scarso valore personale (non posso restare fermo a godere di queste sensazioni ma devo capire cosa non funziona, dove potrei sbagliare, cosa potrebbe andare male per non sedermi sugli allori ma continuare a migliorarmi).
L’impatto di queste convinzioni può proiettarsi in modo negativo su diversi disturbi psicologici come il disturbo d’ansia generalizzata o la depressione (Olatunji, Moretz & Zlomke, 2010).
La valutazione di queste convinzioni così come interventi terapeutici orientati alla loro discussione critica possono eliminare un importante ostacolo alla riduzione della sofferenza mentale.
Ansia e paura della felicità
Uno studio condotto nel 2010 da alcuni ricercatori statunitensi (Olatunji, O., et.al., Linking cognitive avoidance and GAD symptoms: The mediating role of fear of emotion, Behavior Research and Therapy, 48, 5, 2010, 435-441) ha esplorato il ruolo giocato dalla paura delle emozioni nel mediare il rapporto tra evitamento cognitivo e sintomatologia del disturbo d’ansia generalizzato (GAD).
Quello che i ricercatori hanno messo in evidenza è quanto l’incapacità di confrontarsi con gli stati emotivi propri e altrui alimenterebbe il meccanismo di evitamento cognitivo che è associato con l’ansia generalizzata.
Le persone con un disturbo di questo tipo sembrerebbero in tal senso avere paura della felicità poiché stati affettivi desiderabili e potenzialmente fonte di soddisfazione personale sarebbero vissuti come un potenziale pericolo, una minaccia della perdita del proprio senso di autocontrollo e un elemento, quindi, di vulnerabilità.